A partire dal Secondo dopoguerra, nuove dinamiche economiche e sociali hanno profondamente modificato il modello dell’antropizzazione della montagna, introducendo nuove attività e nuove modalità produttive, ma soprattutto depotenziando il tradizionale ruolo dell’agricoltura di montagna e dell’allevamento. Un aspetto, quest'ultimo, che si è tradotto nell'abbandono di vaste porzioni di territorio un tempo coltivate o adibite a pascoli. I dati parlano chiaro e attestano come dal 1951 al 2011 in Trentino si registri una riduzione drastica degli addetti esclusivi al settore, passati da 63.000 a 9.000 operatori e una parallela riduzione delle superfici agricole utilizzate, che dagli originari 241.000 ettari è passata oggi a 137.000 ettari. Questa “rivoluzione“ ha colpito in modo particolare il settore zootecnico, non solo con il dimezzamento dei capi bovini allevati ma anche con l’introduzione di nuove modalità di allevamento, caratterizzate dalla concentrazione dei capi in stalle più capienti e da un non sempre coerente rapporto tra numero di capi e territorio aziendale di pertinenza.
Tutto ciò non può non avere avuto un impatto anche sul paesaggio. La bellezza del Trentino è data dall'alternanza di spazi coltivati e di aree boschive e le Giudicarie ne sono un esempio lampante. Come ricordato da Fezzi, oggi gli spazi aperti vanno tutelati quanto il bosco. Bisogna mettere in campo degli strumenti per valorizzare realtà e buone pratiche che in passato non sono state considerate in maniera tanto positiva, facendo degli agricoltori e degli allevatori i nuovi protagonisti del rilancio della montagna. Il turista vorrebbe trovare il paesaggio-cartolina, ha ricordato Salsa, il che è comprensibile, ma il paesaggio cambia, assieme all'uomo. Fino all'anno 1000 il Trentino era quasi tutto coperto da boschi. Poi è iniziato il processo di dissodamento, fatto da contadini che erano uomini liberi, non ingabbiati negli schemi feudali, grazie alle libertà introdotte da Mainardo II. Lo spopolamento è fenomeno recente. Più grave laddove l'assetto proprietario non ha aiutato a contrastarlo (come è accaduto dove esiste l'istituzione del maso chiuso). Ma senza l'uomo il paesaggio cambia inesorabilmente. Bisogna dunque riscoprire il ruolo dell'uomo e dell'interazione uomo-ambiente.
La Provincia sta elaborando nuove strategie per contrastare l’abbandono dei suoli agrari e per rilanciare le attività di agricoltura e allevamento in montagna, anche in seno agli Stati generali della montagna. Sono strategie, ha spiegato Tonina, che guardano avanti e interpretano il futuro delle alte quote, in una prospettiva innovativa, recuperando l'orgoglio di chi in montagna vive e lavora. Questo approccio si traduce nella valorizzazione delle produzioni tipiche, come sottolineato anche dall'assessore Zanotelli, e non da ultimo in nuove soluzioni architettoniche per gli edifici, le stalle, i fienili e i depositi destinati ad ospitare queste attività, superando l’approccio per il quale le strutture della zootecnica devono necessariamente riproporre forme legate al passato, come modelli stereotipati e spesso privi di un sensato legame tra forma e funzione. In questo il ruolo giocato dall'architettura è quindi essenziale, come più volte sottolineato nel corso degli interventi. Ne è un esempio lo stesso maso Pacomio, oggi trasformato in centro congressi a servizio della comunità di Fiavè ma più in generale di tutto il bacino giudicariese e del Garda.
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